Capitolo XII
(trascrizione a
cura di Giovanni Lo Presti, Salvatore Salmeri e Massimo Tricamo)
Altri attestavano
che gli Spagnuoli avessero disparato con tanto giubilo per occorrere in detto
giorno la festività delli gloriosi Apostoli Santi Filippo e Giacomo e per esser
l’ultimo di essi lo speciale protettore della Spagna. Molti a loro capriccio si
fuguravano altri attentati, come più l’aggradava.
Continuano gli spari e i bombardamenti d’ambo le
parti - più di 250 cannonate austriache in poche ore - mentre i civili storditi
ed impauriti attendono il tramonto, confidando in una tregua notturna E pure ad ore
ventidue nel giorno medemo si fece una solenne batteria di cannoni in questa
città, anche di quelli che si retrovavano nel bastione di Santa Maria nella
Cittadella. E [pure di quelli] delli fortini di San Rocco e di San Francesco di
Paola e di tutti gli altri, avendosi fra puoch’ore disparato più di 250 tiri di
cannone, oltre il gettito di molte bombe contro gli Spagnuoli.
Veridicamente si
può affermare che in detto giorno tutti gli cittadini erano storditi e
spaventati, non sapendo penetrare da che derivò un fuoco così continuo d’ambe
le parti. Poiché pure dalli Spagnuoli s’adoprò l’istessa batteria. E sembrava
un secolo ogni momento di tempo agli afflitti paesani, aspettando con molta
anzietà che s’ottenebrasse l’aria colla fuggita del sole: non peraltro, solo
per aver qualche triegua a tante loro afflizioni, apparendo il buio della
notte.
Giunge al Capo una barca proveniente da Tropea, a
bordo della quale si trova Marianne Jeger, moglie del medico generale delle
truppe austriache, accompagnata da Sigismondo Pona, chirurgo generale. I
marinai riferiscono che 80 soldati piemontesi infermi inviati da Milazzo a
Tropea sono stati trasferiti a Crotone per mancanza di letti La notte scorsa
venne da Tropea una barca carica di paglia, con aver approdato nel Capo. Sovra
la quale fu condotta la signora Marianne Jerger, moglie del medico generale
delle truppe cesaree, qual giorni ad[d]ietro s’avea conferito in questa come si
descrisse. Associata detta dama da Sigismondo Pona, chirurgo generale di dette
truppe, con il loro bagaglio.
Riferirono gli
marinari di detta barca che il giorno innanzi s’aveano partito da Tropea 80
soldati infermi di Piemonte e di Savoia (li quali s’aveano inviato da questa
città per guarirsi), non puotendo quell’Ospidale trattenerli per la molta
quantità d’ammalati che si ritrovavano, con aversi [di conseguenza] condotti in
Cotrone.
2 maggio 1719
Giungono viveri dalla Calabria 2 maggio. Da Calabria vennero molte
felughe con altre barche di trasporto cariche di viveri e commestibili,
vendendosi ogni cosa a prezzo rigoroso.
3 maggio 1719
Bomba lanciata dal forte dell’Albero entra
attraverso una finestra nel Palazzo del Governatore, nel quale alloggiava il
generale Ottonghon con la propria famiglia. Curioso percorso della bomba
all’interno del palazzo. 3 maggio. Il disparo delli cannoni colle bombe si
continuò al solito. E tra l’altre palle disparate alla città dal forte
dell’Albero, una diede in una ferrata bassa del palazzo ove solevano dimorare
li signori governadori della città, nel quale albergava il signor generale
Ottonghon con tutta la sua famiglia. E si vidde una metamorfosi curiosa, poiché
la medema palla, entrata dalla ferrata in una stanza, corse per diritto ed
entrò per la porta di detta camera che si ritrovava aperta con quantità di
soldati. E per diritto entrò in altra porta di camera. E, doppo, entrata nel
cortile del Palazzo, colpì in un’altra porta di camera che proseguia in
appresso, con averla rotta, piena [tale ultima camera] di soldati. E finalmente
diede nel muro di essa camera, fracassandolo in parte. E quello, pure
perforato, cascò nella stalla con aver offeso un cavallo nel piede.
Continua il fuoco delle artiglierie: quattro soldati
vittime dei mortai La
notte scorsa furono disparate migliara e migliara palle di scopettate nelle
trinciere, con il disparo pure di molti mortari con pietre. Con aver restato
morti quattro soldati ed altri feriti. E nel giorno il fuoco de’ cannoni e
bombe d’una parte e l’altra fu continuo.
Bomba esplode nella piazzuola antistante il convento
di San Domenico, affollata di soldati ed ambulanti napoletani. Ma la campana
della chiesa di Maria SS. della Catena comunica per tempo - more solito - il
lancio di bombe, avvertendo la popolazione e consentendo così a tutti di
mettersi in salvo. Altre due bombe colpiscono, rispettivamente, la casa di Don
Antonino Proto e la scalinata della suddetta chiesa della Catena Tra l’altre
bombe, una diede nel piano di San Domenico, innanzi il porticato del convento,
ove risideva la guardia principale del signor generale Zumjungen. Con molti
soldati e quantità di napoletani che vendevano molti e diversi viveri. E[p]pure
la bomba diede nel suolo, con averlo sprofondato: e crepata saltarono molti
pezzi per l’aria, non avendo danneggiato ad alcuno. Poiché inteso il segno
della campana della chiesa di Santa Maria la Catena, deputata a toccarsi tutte
le volte che si vedea il disparo della bomba, anzi standosi con attenzione per
dove andava. E da molti osservata con l’occhio e d’altri inteso il susurro e
grido della bomba, in un istante tutti fuggirono dentro detto convento e nella
chiesa, perloché restarono liberi. E tre cavalli d’officiali tudeschi, che si
guardavano dalli loro soldati, rimasti soli nel piano, inteso il grido corsero
a briglia sciolta in diverse parti come li piacque.
Altra entrò per
una fenestra nella casa del signor Don Antonino Proto vicino al detto convento.
Ed avendola rotta, fracassò un muro; ed uscita fuori crepò nell’aria. E nemeno
seguì danni alcuno, con aversi ritrovato nella stanza molte persone.
Altra diede
sopra la scalonata della chiesa di Santa Maria la Catena, pochi passi distante
dal soldato al suono della campana deputato: disparandosi la bomba e pure rotta
la scalonata, si fece in pezzi e non danneggiò ad alcuno.
4 maggio 1719
Viene scarcerato il Padre Lettore Pietro Martire
Iaci, priore del convento di San Domenico. Dopo una lunga prigionia in
isolamento nel Castello, viene trasferito nel suo convento con divieto di
allontarsi
4 maggio. In questo giorno, impensatamente, fu scarcerato dal Castello - ove
avea dimorato per lo spazio di mesi due e giorni dodeci, cioè da 18 febraro
scorso - il Padre lettore fra Pietro Martire Iaci, Priore del Convento de’
Padri Domenicani in questa città. Nel qual giorno venne in questa dal campo
spagnuolo con una barchetta, associato dal villano di Maiorana. La quale,
avendoli disbarcato nel Capo per la parte di Ponente, se ne ritornò. Con tutto
che avesse attestato nella deposizione essere stato condotto col Maiorana da
barca di Lipari, nel passaggio facevano per quell’Isola (come il tutto si
descrisse).
Il Padre sudetto
uscì dalle carceri quasi stolido, per avere stato molto tempo racchiuso in una
piccolissima stanza, senza communicazione di persona alcuna. Intercettatosi
pure il parlare con chi li conducea il cibo quotidiano. Ma per aver saputo il
signor comandante Missegla che il Padre per tutto il tempo della sua
carcerazione mai s’avea raso la barba, volse che non dovesse uscire dal
Castello se prima non si radeva. Anzi inviò il suo barbiero per tal effetto.
Bensì fu sua fortuna che non avesse morto di spavento nel tempo nel quale di
radeva, poiché il barbiero l’attestava aver inteso in casa del Missegla,
comandante, che sarebbe stato inviato da nuovo nel campo spagnuolo, sopra che
molto si intimorì. E nonostante la sua scarcerazione restò sequestrato in
convento, concedendosi il dispotico di seguire il suo governo da Priore come
prima.
Giungono dalla Calabria alcune tartane cariche di
viveri e di numizioni. Sbarcano pure granatieri austraici del reggimento del generale Zumjungen La notte scorsa pure approdarono nel campo - venute
da Calabria - alcune tartane con quantità di provisioni di guerra e di bocca,
conducendo ancora 30 soldati granatieri tudeschi del regimento del signor
generale Zumjungen.
Durante la notte gli Spagnoli ostacolano con le
artiglierie la realizzazione d’un terrapieno a Porta Messina: muoiono dieci
soldati austriaci, oltre ad altri militari gravemente feriti Fu molto
vehemente il fuoco de cannoni la notte nelle batterie dal campo spagnuolo e nel
Purracchito, col disparo di molti e molti schioppi e mortari di bombe e di
pietre nelle trinciere. Disparandosi gagliardamente alla Porta di Messina,
volendosi a viva forza impedire a non complirsi il terrapieno, qual si faceva
dalle truppe tudesche in detta Porta di nottetempo per non essere danneggiate
dall’arme spagnuole. E con tutto ciò non si cessò il lavoro di detto
terrapieno, ma restarono più di dieci soldati uccisi ed altri gravemente
feriti, nelli quali un tenente tudesco.
5 maggio 1719
Arrivano viveri dalla Calabria. Una bomba esplode al
Borgo nella casa del maestro Giuseppe Perdichizzi, già colpita in precedenza 5 maggio. In
questo giorno vennero da Calabria alcune tartane e felughe cariche di
vettovaglie e viveri. E con tutto ciò sempre si vendevano a carissimi prezzi.
Il fuoco de’
cannoni e delle bombe si fece a sentire d’una parte e l’altra. Una bomba diede
sopra il Monte, nella casa di maestro Gioseppe Perdichizzi, nella quale avevano
andato molte palle di cannoni con aversi fracassata in più parti. E data detta
bomba, dell’intutto si disfece. Anzi, precipitatasi sino al suolo, per esser
solerata, si dirupò l’altra casa di maestro Francesco Cambria e di maestro
Pietro Maiorana, zio e nepote.
6 maggio 1719
Muore un soldato austriaco in trincea. Le
artiglierie del bastione di S. Maria e dei fortini di S. Rocco e di S.
Francesco di Paola inattive, con conseguente sollievo degli abitanti del Borgo 6 maggio. La
notte scorsa seguì il disparo di molte scopettate nelle trinciere d’ambe le
parti, col gettito di più bombe di pietre. Perlochè un povero soldato tudesco,
qual era di guardia, restò ucciso.
Per tutto questo
giorno e nella notte non cessarono li cannoni delli Spagnuoli a non farsi a
sentire contro la città, col disparo di quantità di bombe. Bensì, dal bastione
di Santa Maria nella Cittadella e dall’altri fortini di San Rocco e San
Francesco di Paula da più giorni, come in questo, non s’avea inteso alcun tiro.
Perlochè gli abitanti almeno avevano alcun consuolo, non ritrovandosi storditi
col rimbombo di essi cannoni. Per essere stato insoffribile, specialmente di
quei che abitavano alle falde e nel Borgo, essendo cannoni ben grossi da
battere di libre sessanta l’uno.
7 maggio 1719
Diserzione notturna dal campo spagnolo di un soldato
francese, il quale riferisce penuria di denari, ma abbondanza di viveri La notte scorsa se ne fuggì dal campo spagnuolo e la mattina fu condotto come al solito
innanzi il signor generale Zumjungen. Riferì essere francese di nazione, che
nel campo sudetto non si ritrovavano denari, con esserci molt’abbondanza di
viveri, come pure aver molt’officiali trasmesso nella città di Messina la
maggior parte del loro bagaglio.
Perlustrazione austriaca dei fondali del Porto e
della riviera occupata dagli Spagnoli. Movimento di militari infermi dal campo
spagnolo verso Messina Pure d’ordine del signor generale Zumjungen uscì
dal Capo una tartana corsara, la quale scandagliò tutto il fondo di questo
Porto. Ed inoltre s’osservò tutta la riviera, qual avevano in dominio gli
Spagnuoli sino al Capo di Raisicolmo.
Di più si vidde
che dal campo nemico per la Marina s’avessero inviato molt’ammalati per
Messina, con molte provisioni di viveri. Associato il tutto da quantità di
soldati a cavallo.
Cessa di giorno, ma non di notte, il fuoco degli
Spagnoli
Ha cessato in parte il fuoco delle batterie spagnuole in questo giorno. Ma
nella notte persistette alla gagliarda nelle trinciere il disparo di molti
mortari con pietre, con alcune scopettate. Come da questa pure s’adoprò.
8 maggio 1719
Diserzione dal campo spagnolo di tre militari, tra i
quali un sergente piemontese arruolatosi nelle truppe di Filippo V dopo la
cattura. Riferiscono che a Trapani era giunto quasi un intero reggimento di
Piemontesi, come riferito a sua volta da un gruppetto di disertori piemontesi
giunti al campo spagnolo di Milazzo 8 maggio. La notte scorsa vennero dal
campo spagnuolo tre soldati desertori, nelli quali vi fu un sargento
piemontese, il quale innanzi era stato prigioniero e prese partito nelli
Spagnuoli. E doppo se ne fuggì cogli altri due. Raccontarono che a Trapani
avessero venuto molte truppe di Piemonte, quasi un regimento intiero. Dal quale
se ne fuggirono quattro soldati granatieri e che si ritrovavano [i 4 granatieri, ndr] in detto campo
spagnuolo.
Le artiglierie, quiete di giorno, si fanno sentire
nella notte. Ma i civili - che in notturna assistono alle ostilità dal Borgo -
si sentono più sicuri in quanto lontani dal tiro del fuoco nemico Non si fecero a
sentire più le cannonate del campo spagnuolo, perloché si ritrovò in città
alcuna quiete. La notte però nelle trinciere non cessarono le bombe con pietre
ed il disparo di scopettate, conforme per il passato. Con aver alcun sollievo
molti cittadini. Li quali, trattenendosi il giorno con quella cautela che si
potea per il timore delle palle di cannoni e delle bombe, la notte si
conferivano sopra il Monte per osservare il disparo delle scopettate e delli
mortari di pietre: almeno avevano alcun sollievo colla veduta senza spavento di
detto disparo, sembrandoli molto vago il conflitto.
9 maggio 1719
Altro disertore dal campo spagnolo conferma
l’abbondanza di viveri e la penuria di denaro presso le truppe spagnole, in
arretrato con le paghe 9 maggio. Comparì un desertore dal campo spagnuolo,
soldato di nazione valenciano. Riferì in questa che gli Spagnuoli tenevano
molt’abbondanza di comestibili e che gli officiali inviarono tutto il loro
bagaglio nella città di Messina. Con tutto che si ritrovasse molta scarsezza di
denari, tanto che non s’ha pagato per intiero la paga alle truppe. E di più che
per tutto il campo nella Piana non si ritrovavano più di due mortari di bombe e
cinque cannoni da battere, due in una batteria e tre in un’altra. Con alcuni
volanti di campagna, per aversi tutti gli altri rimesso in Messina.
Bomba decapita un soldato austriaco in prossimità
della chiesetta della Pietà, accanto Porta Messina Con tutto che
nella città non si avesse inteso più il disparo continuo delli cannoni del campo
nemico spagnuolo, nondimeno seguiva
sovente vicino la Porta di Messina ed altre parti convicine. Come pure delle
bombe, tanto che una di esse diede vicino la chiesa di Santa Maria della Pietà,
collaterale con le mura di detta Porta, ed uccise un soldato tudesco, qual era
di guardia, con averli tolto il capo, fracassandolo per tutto il corpo.
10 maggio 1719
Altra bomba uccide 2 soldati austriaci nell’odierna
piazza Mazzini, già piano Pietà 10 maggio. Tra la quantità delle bombe
disparate nelle batterie spagnuole, una uccise due soldati tudeschi nel piano
della chiesa della Madre di Dio sotto titolo della Pietà, vicino le mura della
città ove esiste la porta nominata di Messina.
Mancata cattura di un’imbarcazione spagnola scortata
a riva dalla cavalleria di Filippo V e messasi in salvo nella spiaggia
antistante il Mulino di S. Francesco di Paola (presso il fiume Floripotema,
nell’area oggi occupata dalla Raffineria)
Ben tardi uscì una feluga dalla ripa ove risiedeva il campo spagnuolo.
Qual, osservata da due felughe corsare, s’unirono queste col pinco corsaro, assaltando
la sudetta feluga col disparo di molte cannonate. Bensì essa sempre si
trattenne vicino la ripa sudetta, scortata dalla cavalleria spagnuola nella
riviera. Alla fine, vedendosi molto alle strette, si retirò nello Scaro
nominato il Molino del Convento di San Francesco di Paola, ove - non puotendo
le dette due felughe col pinco prenderla per le molte truppe di cavalleria che sovragiunsero
per difesa di essa - se ne ritornarono
con puoco onore nel Capo, quasi scherniti per non aver azzardato a prenderla.
Pare che alcuni notabili palermitani si siano recati
a Napoli per essere ricevuti dal vicerè, sottomettendosi alla dominazione
austriaca
Si publicò in città, non penetrandosi l’origine, che alcuni titolati della
città di Palermo avessero andato in Napoli per discorrere con quel Vicerè,
volendosi soggiacere all’arme cesaree. Se piacque a tutti gli cittadini di
questa tal novità, si può reflettere dall’inchinazione s’ha tenuto sempre alla
Cesarea e Cattolica Maestà. Non si penetrò bensì da dove si sparse la novella,
asserendosi da molti non esser veridica la relazione. Poiché se detti personaggi
volevano passare in Napoli, senza dubio s’avrebbero conferito in questa per aver
più libero e franco il passaggio, scortati dal comboglio inglese.
A causa della perdita di alcuni cavalli, uccisi al
Capo da armi da fuoco, gli amministratori comunali (giurati) inibiscono con
proprio bando ai civili, ma non ai militari, la caccia al Promontorio Si promulgò
pubblico bando dalli giurati di questa - d’ordine del signor generale
Zumjungen, comandante - che in avvenire non si puotesse più andar a caccia di
quaglie nel Capo, sotto la pena di perder l’arme ed altre benviste. Avendo
seguito tal proibizione col pretesto che, avendosi disparato dalli cittadini,
avessero restato alcuni cavalli che si ritrovavano in detto Capo - [cavalli di
pertinenza] d’alcuni officiali - uccisi. In ogni modo si cercava togliersi
qualunque divertimento agli poveri cittadini. Poiché colla caccia cercavano
sollevarsi dalle gravi cure ed afflizioni d’animo, nelle quali da più tempo si
ritrovavano ripieni. Il peggio fu che per li cittadini persistette sempre la
proibizione, restando liberi gli officiali e soldati - così tudeschi come di
Savoia e di Piemonte - di poter liberamente esercitar la caccia.
Il fuoco delle artiglierie persiste solo nelle
trincee ed in prossimità delle porte, risparmiando la parte alta della città Il fuoco di
cannoni e delle bombe persistea solamente nelle trinciere e nelle mura della
città vicino le porte, non osservandosi disparare più nella parte superiore.
Perlochè gli abitatori stavano con alcun sollievo e quiete. La notte poi si
disparavano in quantità molte e molte scopettate in dette trinciere con li
mortari con pietre, d’ambe due le parti.
11 maggio 1719
Trasferiti nella cittadella fortificata le tavole ed
altri legnami del forte Ferrandina 11 maggio. Tutte
le tavole e legnami del forte di Ferrandina nel Purracchito - fatto dalle
nostre truppe per offendere il campo spagnuolo, servendo per trinciera e
terrapieno sino al convento di San Papino - furono tolte, conducendosi dalli
soldati nella Cittadella. Non si puotè penetrare la cagione.
Diserzione notturna dal campo spagnolo di un soldato
austriaco, ferito ad una gamba durante la fuga. Giunte da Napoli e dalla
Calabria oltre 40 tra tartane e feluche cariche di viveri per conto di privati All’alba venne
dal campo spagnuolo in città un soldato tudesco, qual se ne fuggì nella notte
scorsa. E benchè nel fuggire fosse stato discoperto, col disparo di molte
scopettate nelle trinciere, solamente restò ferito in una gamba legiermente.
Nella medema
notte passata approdarono - venute da Napoli e Calabria - in questo Capo più di
quaranta tartane e felughe, cariche di diversi viveri per conto di particolari.
Non perciò si venne a diminuire il prezzo, comprandosi peggio di prima, col
valore molto esorbitante. Ed il peggio era che ogni cosa si vendea a folla,
volendosi ogn’uno provedere sino al Capo. Anzi, vedendo gli venditori le ciurme
e delli paesani e delli soldati, che concorrevano alla compra, alteravano gli
prezzi a loro gusto.
Partenza per Palermo del viceré spagnolo marchese di Lede Si publicò che il
signor marchese Lede, vicerè spagnuolo, avesse passato in Palermo per far
parziali [proseliti, ndr] alla
devozione del suo Monarca in qualunque evento, conforme antecedentemente s’avea
accordato colli Messinesi. Li quali aveano promesso correre la medema fortuna
delli Spagnuoli, colla presa dell’arme in tutte l’occorenze a pro del Re di
Spagna. Anzi, seguendo guerra nella loro città, s’avrebbero coll’arme unito
cogli Spagnuoli.
Le artiglierie spagnole risparmiano il Borgo Continuavano
gli Spagnuoli a non tirar più cannonate, né disparar bombe nella città. Solo si
gettavano le pietre col disparo di molte migliara di schioppi nelle trinciere.
Ed alcuni cannoni e bombe si disparavano tanto in dette trinciere, come alle
porte della città e luoghi ad esse convicine. Onde nella città si stava
dall’abitatori con alcuna quiete, non vedendosi più palle di cannoni, né bombe,
nella parte superiore di essa città.
Viene catturata a Messina una nave francese partita
da Marsiglia e carica di mercanzie, per ciascuna delle quali il Barca indica il
porto d’imbarco sulla base delle testimonianze dell’equipaggio raccolte a
Milazzo Fu osservata sopra questo Capo una nave
francese nominata il Buon Giuseppe,
patronizzata dal P[adro]n Giovanni Boner della medema nazione (come doppo si
verificò). La quale avea uscito dal Capo di Raisiculmo. Onde fu arrestata da
due tartane corsare e [da] due galeotte, venendo all’obedienza. Era carica di
quattro balle di seta ed una di fazzoletti e calsette, pure di seta;
alcun’altre di pelli di capretto e con un ricco fondo di zecchine e genovene [due tipi di monete, ndr]. Si pretese dal
signor generale Zumjungen, tudesco comandante, esser la mercadanzia in pena,
con aversi rimesso la causa in giudizio innanzi il signor dottore Don Guglielmo
Colonna, di questa città, come Consultore. Dal quale furono molti marinari
presi per testimonij ed il padrone subito. L’attestazione di tutti - concordi -
fu aversi partito da Marsiglia col carico di vino, nel mese d’ottobre scorso,
per venderlo in Corfù. Per il maltempo approdarono a Porto Magone [Maó nelle Baleari, ndr],
ove pure si fece compra di baccalao e sarache, ed andarono in Napoli, con aver
ancora comprato vino. E, venendo nel Faro di Messina, fu la nave arrestata e
condotta in città, ove furono costretti vender la mercanzia parte alle galere e
vasselli di Spagna e parte a molti particolari. E, pretendendo passar in
Termini per far compra di frumenti e condurli in Genova, retornarono per il
detto Faro per conferirsi in Termini; e nel viaggio seguì la presa.
12 maggio 1719
Un disertore
piemontese fugge dal campo spagnolo e raggiunge a nuoto, nel mar di Levante, il
forte di S. Elmo
12 maggio. Ad ora di Vespro venne un desertore spagnuolo da quel campo, con
aversene fuggito a nuoto per il mar d’innanzi. Avendo preso terreno sotto il
bastione di Sant’Elmo. Avendo n[u]otato il corso di miglia due, venne molto
affannato e quasi semivivo, credendo di restar sommerso nell’onde. Affermò
esser piemontese e non riferì cosa alcuna di considerazione.
In
città si persistea con qualche quiete, stante che gli Spagnuoli non
proseguivano il disparo delli loro cannoni e bombe. Bensì d’una parte e l’altra
si disparavano alcuni mortari con pietre, con molta quantità di schioppi, nelle
trinciere e vicino le porte e mura della città per tutta la notte.
13 maggio 1719
Trasferimento
del Castello dai Piemontesi agli Austriaci 13 maggio. In questo giorno si
fece dalli Piemontesi e Savoiardi la consegna del Regio Castello alli Tudeschi,
per conto della Cesarea e Catolica Maestà dell’Imperadore. Con tutte le
provisioni di guerra, restando col presidio delle truppe tudesche. Retirandosi
gli altri nella Cittadella. E benché non avesse entrato in detto Castello alcun
comandante tudesco, persistendo in esso quello che pria dominava per Savoia:
nondimeno a momenti dovea entrar l’altro, qual si ritrovava nella città. E
quello che si pratticava seguì per mera convenienza. E si stavano aspettando
molte truppe tudesche da Napoli e Calabria col comboglio, affinché col medemo
si trasportassero tutte le truppe ed officiali piemontesi e savoiardi nella
città di Siragosa.
In
detto giorno non s’ha inteso alcun disparo di cannoni, né di bombe nella città
dalli forti delli Spagnuoli. Bensì nelle trinciere e nelle porte di questa
città e luoghi convicini, specialmente la notte, s’intese e vidde quantità di
fuoco di scopettate, col gettito di molte pietre d’una parte e l’altra.
14 maggio 1719
Altri due
disertori
14 maggio. Due soldati tudeschi su l’alba vennero in città, avendo intrapreso
la fuga la notte precedente. Nel fuggire li furono disparate molte scopettate,
bensì restarono illesi. Non riferirono cosa di considerazione alcuna, oltre che
per non intendersi il loro lenguaggio dalli cittadini. Nemeno si puotè
penetrare alcun motivo sopra gl’andamenti delli Spagnuoli.
Il
fuoco delli cannoni e bombe non seguì in città. Solo nelle trinciere, d’una
parte e l’altra, s’intendea il disparo d’alcuni mortari con pietre e di molte
scopettate.
15 maggio 1719
Con la partenza
dei Piemontesi il Duomo antico, adibito ad ospedale di quelle truppe, torna ad
ospitare le funzioni religiose, previa opportuna igienizzazione. L’ospedale fu
temporaneamente trasferito nella Badia benedettina, sino ad allora impiegata
come deposito viveri
15 maggio. Con molt’allegrezza quasi universale di tutti li cittadini ed
abitanti in città s’allestì dalli Piemontesi e Savoiardi la Matrice chiesa, non
tenendosi più ospedale. Avendosi bensì trasferito dentro il Monasterio di Donne
del Santissimo Salvadore, nella Cittadella, da più mesi rimasto per riposto di
vettovaglie e farine di detti Savoiardi. Discacciate pria le monache, come si
descrisse. Solo rimasero in detta Matrice alcuni officiali in quelle stanze che
si ritrovavano. E si stava purificando dalle molte immondizie che in essa si
ritrovavano, ad effetto di puotersi abitare colla somministrazione delli divini
Sacramenti. Poiché il fetore era molto pernicioso e nocivo.
La chiesa di S.
Maria Maggiore adibita inaspettatamente a deposito di orzi provenienti dalla
Calabria
Vennero da Reggio la notte scorsa molte tartane e felughe cariche di viveri,
con aver approdato nel Capo.
In
questo giorno, fuor d’ogni aspettazione, s’intese una speciale afflizione da
tutti l’abitatori in città, per aversi ordinato che nella venerabile chiesa di
Giesù e Maria la Vecchia si levasse il Santissimo Sacramento dell’altare, con
doversi pure togliere tutti gli ornamenti e superlettili sacrati di essa chiesa,
per dover servire per riposto di molt’orgi che vennero da Calabria. Come
infatti fu necessario il tutto eseguirsi per non soggiacere a violenze
maggiori. E si vidde che la stanza d’un Dio Sacramentato, in una sua chiesa
parochiale, pure fu profanata col riposto d’orgi. Con aversi asserito esser
necessario ciò farsi, non puotendosi altrimente adoprare, concorrendo l’urgenza
della guerra.
Cannonate
spagnole tentano di arrecare disturbo ai facchini intenti ad immagazzinare gli
orzi entro la chiesa di S. Maria Maggiore Nella condotta [nell’immagazzinamento, ndr] dell’orgio
nella venerabile chiesa di Giesù e Maria la Vecchia da molti bastasi [facchini, ndr], furono questi - per
esser in quantità - discoperti dalli Spagnuoli. Perloché dalli loro fortini si
dispararono alcune cannonate nella Marina per dove si dovea portare l’orgio, essendo
situata la chiesa sudetta in detta Marina, solo per offendere gli detti
bastasi. Ma non seguì in loro alcun danno. E tolte dette palle, non si fece a
sentire in città altro fuoco, bensì questo fu continuo nelle trinciere - d’ambe
le parti - e loro fortini, specialmente la notte. Disparandosi alcuni mortari
con pietre e molte scopettate, onde restarono uccisi due soldati tudeschi,
tutti due feriti con palle di schioppi. Ed altri feriti.
Pure
approdarono nel Capo molte tartane e felughe, cariche d’ogni sorte di
vettovaglie, specialmente di farine per servizio delle truppe tudesche, con
altre provisioni di guerra.
16 maggio 1719
Alcuni milazzesi
tornano nel centro cittadino, fuggendo dalla porzione di territorio comunale
caduto sotto il dominio spagnolo, dove si trovavano da ottobre per le
vendemmie. Sbarcano al Capo, tra gli scogli della Baia di S. Antonio. Nel
fornire informazioni sul campo spagnolo, raccontano di arretrati nelle paghe
dei militari, ma soprattutto di movimenti di truppe verso Siracusa e Messina 16 maggio. Non
si fece a sentire in città alcun tiro di cannone dal campo spagnuolo. Nemeno si
disparò bomba alcuna. Solo nella notte s’esercitava fuoco di molte scopettate,
disparandosi alcuni mortari con pietre, tanto nelle trinciere di tutte due
parti, come nelli fortini vicini le porte della città.
La
notte scorsa si partirono per il mare di dietro verso Ponente, sopra una
barchetta dal campo spagnuolo, alcuni paesani plebei e maestri di questa città,
quali si nomavano Sebastiano Falcone, Domenico Castelli, maestro Emiliano
Puglisi, Alessio Bertè, Giuseppe Perdichizzi, maestro Giovanni Scarfagna, Paolo
Calascione, Domenico Vitali. Li quali molto pericolarono la vita. Poiché - nell’imbarcarsi
nella ripa - si ritrovava da vicino una barca di guardia, onde furono costretti
per disingannare alle sentinelle drizzar la prora verso Patti, prendendo il
camino molto largo e nel golfo. E per non esser discoperti. E, doppo,
conoscendo esser molte miglia lontani dalla ripa e non esser seguiti,
s’industriarono per il Capo di questa. E con molto travaglio e spavento
approdarono, prendendo terreno sotto la chiesa di Sant’Antonio di Padua, in
mezzo li scogli. E sull’alba vennero a presentarsi innanzi il generale Zumjungen,
comandante tudesco, dal quale furono largamente interrogati. E dalli medemi si
rispose che dal principio dell’imbrocco delli Spagnuoli, con l’occasione delle
vendemie, si ritrovavano - dal mese d’ottobre scorso - per travagliare nella
Piana. E privata la comunicazione nella
città furono sequestrati, non puotendo più retornare. E bramosi di condursi
nella Patria, più volte tentarono la fuga, la quale mai li potè sortire. Solo
che nella notte antecedente, del modo raccontato. Riferirono, di più, che molti
regimenti così di fanteria, come di cavalleria, s’aveano partito per il fiume
di Rozzolino [torrente Patrì, ndr],
dovendosi conferire nella città di Siragosa. Ed altre truppe, per la riviera,
conducendosi in Messina. Inoltre, che nel campo non si ritrovavano più mortari
di bombe. Solamente alcuni puochi cannoni. Di più, che molto si lamentavano e
gli officiali e gli soldati per la grande scarsezza di denari, dovendo
conseguire gli primi molte paghe e gli altri non soddisfatti per intiero, ma solo
col semplice soccorso. Che nel campo di continuo si vedevano molti latrocinij
delli soldati verso gli paesani, particolarmente nella notte. E se si resistea
a non lasciarsi rubbare, si pericolava la vita. Perloché restarono uccisi molti
soldati e paesani in tempo di notte.
17 maggio 1719
Disertori
perlopiù catalani giungono dal campo spagnolo: riferiscono lamentele per le
paghe arretrate
17 maggio. In questo giorno vennero dal campo spagnuolo in più volte molti
soldati, con aversene fuggito in questa città. Uno delli quali la notte scorsa
avea valicato il mare d’innanzi, con aversene venuto a nuoto. La maggior parte
delli desertori erano catalani. Tutti riferirono che nel campo sudetto si
campava miseramente per esservi molta scarsezza di denari. Perloché molto in
generale si murmorava contro gli comandanti ed officiali.
Havea
triegua il disparo del cannone e delle bombe delli fortini delli Spagnuoli come
li giorni scorsi. Perloché l’afflitti cittadini si consolavano tra di loro per
aver alcuno spazio di tranquillità col camino per la città, almeno per la parte
superiore, senz’alcuno spavento.
18 maggio 1719
Arriva da Napoli
un tenente colonnello austriaco per una notifica al generale Zumjungen 18 maggio. Venne
la notte scorsa da Napoli un tenente coronello tudesco, inviato da quel viceré
con un dispaccio al signor generale Zumjungen, comandante tudesco, sopra una
feluga ben corredata di marinari ed armata con molti soldati. Ed in detto
giorno fu dispacciato, con aversene retornato colla medema feluga velocemente
in Napoli.
Le
bombe e cannoni non si dispararono. La notte, bensì, fu così continuo e
fervente il fuoco delli schioppi disparati nelle trinciere che si numerarono
alla confusa più e più migliara di tiri d’una parte e l’altra. Come pure si
dispararono alcuni mortari di pietre contro gli fortini della città, vicino le mura
e porte di Messina e Palermo.
Giunge notizia
dell’imminente arrivo del generale Claudio
Florimondo d’Argenteau conte di Mercy (1666-1734) Si dicea
pubblicamente che l’armata navale per condursi da Napoli in questo Regno era
approntata con tutte le truppe, con dover venire per generale comandante il
signor Mercij, tudesco, quale havea trattenuto la partenza, volendo quattro
milioni di fiorini per servizio di dett’armata.
19 maggio 1719
Ennesimo
disertore, questa volta un sergente piemontese. Giungono dalla Calabria
imbarcazioni cariche di 800 cavalli, sbarcati al Capo: trattasi dei Dragoni
Tige al comando del colonnello Johann Franz Bodwin conte di Walderode
(1669-1738) 19 maggio. Comparì
un desertore dal campo spagnuolo, il quale era sargento piemontese.
Il
giorno scorso nel golfo comparirono alcune tartane ben grosse. Si discorrea
esser imbarcazioni dell’armata che si stav’aspettando.
In
questo [giorno] approdarono nel Capo dicidotto tartane con altre di trasporto
venute da Sant’Eufemia, conducendo da 800 cavalli, li quali furono disbarcati
nel medemo giorno. E la sera istessa e nella notte sequente di nuovo fecero la
partenza tutte sudette tartane.
Non
s’intese fuoco di cannoni né disparo di bombe in città dalla parte nemica. Solo
la notte si dispararono alcuni mortari con pietre nelle trinciere e molte
scopettate d’una parte e l’altra.
Un dragone di Lusitania
riprodotto in scala 1:72 dai modellisti Salvatore Barresi e Giuseppe Pandolfo
per un’ipotesi di ricostruzione in miniatura dell’Assedio di Milazzo. Il tipico
colore giallo dell’uniforme dei dragoni spagnoli, creando confusione, fu una
delle cause che determinarono la sconfitta delle truppe austro-piemontesi nella
Battaglia di Milazzo del 15 ottobre 1718. A darne notizia è in primo luogo la Biblioteca Storia e Letteraria di Sicilia
di Gioacchino Di Marzo, dove nel vol. XV viene riprodotto un antico manoscritto
che, a proposito della citata battaglia, a pag. 215 così riferisce: «accorsa la
cavalleria irlandese, chiamata il reggimento
della Morte, fece un gran smacco sopra i Tedeschi. Poiché al vestire furono
giudicati soldati cesarei del reggimento di Tisci e perciò non se ne
guardavano». La notizia appena riportata è solo parzialmente corretta. Non si
trattava di cavalleria irlandese, quanto piuttosto dei Dragoni di Lusitania, già
allora contraddistinti con la simbologia della morte (teschio e tibie
incrociate). Furono proprio i Dragones de la Muerte a contrapporsi ai dragoni imperiali del reggimento Tige (Tisci). A confermarlo è la
relazione che il conte Carafa inviò a Vienna il giorno successivo alla
battaglia. Il 16 ottobre 1718 il conte riferiva infatti che sia i dragoni
spagnoli quanto quelli austriaci indossavano uniformi gialle, circostanza che confuse
i suoi, i quali furono così sorpresi dal nemico: «Es
lässt sich kein anderer Grund dufür annehmen, als, da die spanischen Dragoner
gleich den kaiserlichen
Dragonern gelb gekleidet waren und die Infanterie dieselbe Uniform wie die
Piemontesen hatte, die Kaiserlichen nicht haben schiessen wollen und daher
überrascht wurden» (cfr. Caraffa’s Relation, fondo “Neapel ud Sicilien 1718”,
fasc. X, 16 c in Kriegsarchivs Vienna. Il documento in questione è riportato
anche da Raimund Gerba, Die kämpfe der
Kaiserlichen in Sicilien und Corsica, Verlag des K. und K. Generalstabes.,
Wien 1891, pp. 114-115). Ad avere divise simili, secondo la relazione Carafa,
anche qualche reparto di fanteria imperiale che si confondeva coi Piemontesi.
20 maggio 1719
Altro disertore
informa che dal campo spagnolo partirono truppe dirette a Siracusa 20 maggio. Se ne fuggì in città un desertore dal
campo spagnuolo, dell’istessa nazione. Non riferì cosa di rilievo: solo che
partirono molte truppe tanto per Messina, per la riviera, come per le montagne,
per condursi in Siragosa. Con aversi pure fatto la rimessa dagli officiali del
meglior bagaglio in detta città di Messina.
Atroce
esecuzione d’un soldato austriaco, accusato d’aver ucciso un commilitone tra S.
Papino e la Grotta di Polifemo Fu condotto al patibolo in questo
giorno un povero soldato tudesco condennato alla morte per avere ferito altro
soldato della medema nazione con una guainietta nel petto, proditoriamente con
tre colpi. Il quale, fra lo spazio di puoch’ore, passò all’altra vita. Sieguì
la tragedia sotto il Monte, fuori la città.
Si
conducea il delinquente dalle carceri, associato da quantità di soldati,
coll’assistenza del padre cappellano del suo regimento, raccordandolo [pacificandolo, riconciliandolo, ndr] per
muorir contrito. Ed essendo gionto al luogo deputato - doppo le proteste dal
medemo fatte e raccordi salutiferi del padre cappellano per salute dell’anima
sua - se li bendarono gli occhi. E
proseguendosi le preci, altro soldato, qual servia da carnefice, desnudata una
scimitarra, tentò troncarli il capo. Ma - o per la sprattichezza del manigoldo
o per disgrazia del poveretto soldato - fu necessario che si replicasse il
colpo per quattro volte, sino che s’abbia separato dal collo la testa.
Si celebra dalle
truppe austriache, nella chiesa del Rosario, il Beato Giovanni Nepomuceno da
Praga
Dalli cappellani tudeschi, li quali si retrovavano in questa città con li
regimenti, da più giorni s’ha preteso celebrare la festività del Beato Giovanni
Nepunoceno, canonico della città di Praga e confessore della felice memoria
dell’Imperatrice Maria. Ed infatti in questo giorno si celebrò il Vespro d’uno
di essi cappellani, assistendo gli altri nella chiesa de’ Padri Domenicani,
avendosi apparamentata tutta la chiesa con molto lume di torceria ed a suono di
pifari, tamburri e tabbani. Anzi, alternativamente con un coro di boeri ed
altri strumenti musicali, viole, violini ed organo, toccati tutti da tudeschi.
Concorrendo quasi tutti li signori comandanti, generali ed officiali, nelli
quali pure intervenne il signor generale Zumjungen, con tutto che fosse stato
eretico.
Inoltre,
si fecero a vedere nella sollennità tutte le dame tudesche, oltre la
moltitudine di molti e molti soldati della medema nazione, non essendo stato
capace il tempio a tante persone. Tanto che molti restarono esclusi,
trattenendosi nel chiostro o fuori dalla chiesa. E finì il Vespro col disparo
d’una quantità di mortaretti di bronzo.
Non
s’intese meno in questo giorno alcun rimbombo di cannone, né disparo di bombe
nella città, conforme gli giorni scorsi. Solo la notte seguiano le scopettate e
le pietre nelle trinciere.
21 maggio 1719
Proseguono le
celebrazioni nella chiesa del Rosario per il Beato Nepomuceno da Praga, con
prediche in lingua italiana e tedesca 21
maggio. Si cantò la messa sollenne nella chiesa sudetta di San Domenico per la
festività del riferito Beato Giovanni d’un Padre cappellano del medemo ordine,
pure tudesco. Con aver fatto il panegirico in lingua tudesca altro padre
cappellano della Compagnia di Giesù. E la sera si cantò il secondo Vespro con
l’istessi strumenti musicali e suono di pifari e tamburri; e disparo di
mortaretti col medemo concorso. Anzi, si fece altra predica recitata in lingua
italiana d’altro padre cappellano, pure domenicano, del regimento di Salluzio
di Piemonte.
La presenza del
generale Zumjungen nelle trincee sino a mezzanotte fa temere il peggio La sera
andarono nelle trinciere dupplicate le guardie. Perloché per tutta la notte si
stiede in città con alcun sospetto che non seguisse alcun rumore. Tanto più per
aversi osservato che il signor generale Zumjungen, comandante, con molti altri
generali ed officiali si fecero a vedere nelle trinciere, ove si trattennero
sino a mezzanotte. Ma per grazia di Dio non s’intese cosa di nuovo.
Giungono al Capo
da Sant’Eufemia quattro tartane cariche di cavalli e truppe austriache Spuntarono nel
golfo quattro tartane e la sera approdarono tutte quattro, a due a due, nel
Capo. Venute da Sant’Eufemia cariche di soldati tudeschi con alcuni cavalli, li
quali - nella medema sera - si principiarono a disbarcare.
Si constatano
alcuni danni nel Duomo antico, dopo la restituzione da parte delle truppe
piemontesi che l’avevano adibito ad ospedale. In particolare, la cucina da loro
allestita sotto la nuova Sacrestia del 1704 rischiò di incendiare i pregevoli
arredi lignei di quest’ultima. Danneggiati dai fornelli anche alcuni blocchi
scolpiti di pietra da taglio, depositati accanto al Duomo per abbellirne un
angolo in muratura Se più tardava a restituirsi il Duomo dalli
Piemontesi e Savoiardi, nel quale per più tempo si tenne il loro ospidale, per
certo avrebbe seguito un notabilissimo danno. Poiché, volendosi tutto
purificare dall’immondizie che in esso si retrovavano, s’osservò che sotto la
Sagrestia, nuovamente costrutta con maestria molto celebre, ove esistevano
molti damusi [volte a botte, ndr], in
quelli dalli detti Savoiardi e Piemontesi di continuo si facea la cocina. E per
esser il fuoco molto spesso ed in quantità, giornalmente servendosi per gli
officiali o per il magnare di molti centinara d’infermi, come pure per esser li
damusi bassi, il fuoco avea principiato ad abbruggiare alcuni travi che
sostenevano detta Sagrestia. Tanto che, s’avrebbe persistito per altri puochi
giorni il fuoco, senz’alcun dubio s’avrebbe incendiato tutto il solaro, con
accendersi pure tutta la Sagrestia tutta lavorata di legname. Inoltre,
ritrovandosi vicino detta Matrice una quantità di pietre lavorate d’intaglio
per farsi una cantonera di essa, furono tutte da detti Savoiardi e Piemontesi
abbruggiate per aversene servito per accommodar fornelli di fuoco in più parti,
così di dentro, come di fori di detta Matrice.
Un tenente
colonnello di uno dei reggimenti Starhemberg prende in consegna il Castello dai
Piemontesi
In questo giorno prese la possessione del Regio Castello, a nome della Cesarea
e Catolica Maestà, un tenente coronello tudesco del regimento di Starimbergh.
22 maggio 1719
Cinque soldati
austriaci uccisi nelle trincee 22 maggio. La notte fu eccessivo e continuo
il fuoco delle scopettate, col disparo di bombe con pietre nelle trinciere.
Perloché restarono uccisi cinque soldati tudeschi con molt’altri feriti con
palle e pietre.
23 maggio 1719
Diserzione di
due militari del reggimento Saluzzo: fuggono dal campo spagnolo ove erano stati
condotti una volta catturati dal nemico, al servizio del quale si erano nel
frattempo arruolati
23 maggio. Vennero due desertori dal campo spagnuolo, con esser uno di Nizza.
Tutti due del regimento di Salluzio. Avendo restati prigioni, presero partito
nelli Spagnuoli. E la notte scorsa, avuta l’occasione, se ne fuggirono in
questa città. Non raccontarono cos’alcuna di novità.
Altri due morti
nelle trincee
Il fuoco nelle trinciere di scopettate, con alcune pietre disparate, fu
continuo. Restarono uccisi due soldati, con altri feriti.
Tragica morte
nel sonno d’un soldato del reggimento Saluzzo, precipitato dalle mura della
cittadella fortificata La notte scorsa un soldato di Piemonte del regimento
di Salluzio, maestro scarparo, ritrovandosi nel solito suo quartiero nella
Cittadella molto affannato, non puotendo serrar gli occhi per dormire per la
gran quantità di polci, se ne uscì da detto quartiero e si pose a dormire sopra
le mura di detta Cittadella. E nel sonno si precipitò da dette mura, restando
morto tutto rotto nel corpo.
I militari del
reggimento Saluzzo, sino ad allora di servizio nelle trincee, non fanno più le
guardie, in conformità all’atto di subentro delle truppe austriache nel Regno
di Sicilia
Il fuoco nelle trinciere è al solito. In questa sera andarono nelle trinciere
tre battaglioni del regimento di Saluzio focilieri, in tutto facendo un
battaglione al numero di seicento, che si ritrovavano in questa città, tolti
gli infermi che erano al numero di duecento. Non facendo più guardie, per aver
renunciato tutti li posti agli Tudeschi colle provisioni di guerra e viveri,
come si raccontò.
24 maggio 1719
24
maggio. Comparse in città in questo giorno un desertore dal campo spagnuolo di
nazione francese.