lunedì 5 febbraio 2018




Capitolo XII

 

(trascrizione a cura di Giovanni Lo Presti, Salvatore Salmeri e Massimo Tricamo)

 

Altri attestavano che gli Spagnuoli avessero disparato con tanto giubilo per occorrere in detto giorno la festività delli gloriosi Apostoli Santi Filippo e Giacomo e per esser l’ultimo di essi lo speciale protettore della Spagna. Molti a loro capriccio si fuguravano altri attentati, come più l’aggradava.

 

Continuano gli spari e i bombardamenti d’ambo le parti - più di 250 cannonate austriache in poche ore - mentre i civili storditi ed impauriti attendono il tramonto, confidando in una tregua notturna E pure ad ore ventidue nel giorno medemo si fece una solenne batteria di cannoni in questa città, anche di quelli che si retrovavano nel bastione di Santa Maria nella Cittadella. E [pure di quelli] delli fortini di San Rocco e di San Francesco di Paola e di tutti gli altri, avendosi fra puoch’ore disparato più di 250 tiri di cannone, oltre il gettito di molte bombe contro gli Spagnuoli.

Veridicamente si può affermare che in detto giorno tutti gli cittadini erano storditi e spaventati, non sapendo penetrare da che derivò un fuoco così continuo d’ambe le parti. Poiché pure dalli Spagnuoli s’adoprò l’istessa batteria. E sembrava un secolo ogni momento di tempo agli afflitti paesani, aspettando con molta anzietà che s’ottenebrasse l’aria colla fuggita del sole: non peraltro, solo per aver qualche triegua a tante loro afflizioni, apparendo il buio della notte.

 

Giunge al Capo una barca proveniente da Tropea, a bordo della quale si trova Marianne Jeger, moglie del medico generale delle truppe austriache, accompagnata da Sigismondo Pona, chirurgo generale. I marinai riferiscono che 80 soldati piemontesi infermi inviati da Milazzo a Tropea sono stati trasferiti a Crotone per mancanza di letti La notte scorsa venne da Tropea una barca carica di paglia, con aver approdato nel Capo. Sovra la quale fu condotta la signora Marianne Jerger, moglie del medico generale delle truppe cesaree, qual giorni ad[d]ietro s’avea conferito in questa come si descrisse. Associata detta dama da Sigismondo Pona, chirurgo generale di dette truppe, con il loro bagaglio.

Riferirono gli marinari di detta barca che il giorno innanzi s’aveano partito da Tropea 80 soldati infermi di Piemonte e di Savoia (li quali s’aveano inviato da questa città per guarirsi), non puotendo quell’Ospidale trattenerli per la molta quantità d’ammalati che si ritrovavano, con aversi [di conseguenza] condotti in Cotrone.

 

2 maggio 1719

Giungono viveri dalla Calabria  2 maggio. Da Calabria vennero molte felughe con altre barche di trasporto cariche di viveri e commestibili, vendendosi ogni cosa a prezzo rigoroso.

 

3 maggio 1719

Bomba lanciata dal forte dell’Albero entra attraverso una finestra nel Palazzo del Governatore, nel quale alloggiava il generale Ottonghon con la propria famiglia. Curioso percorso della bomba all’interno del palazzo. 3 maggio. Il disparo delli cannoni colle bombe si continuò al solito. E tra l’altre palle disparate alla città dal forte dell’Albero, una diede in una ferrata bassa del palazzo ove solevano dimorare li signori governadori della città, nel quale albergava il signor generale Ottonghon con tutta la sua famiglia. E si vidde una metamorfosi curiosa, poiché la medema palla, entrata dalla ferrata in una stanza, corse per diritto ed entrò per la porta di detta camera che si ritrovava aperta con quantità di soldati. E per diritto entrò in altra porta di camera. E, doppo, entrata nel cortile del Palazzo, colpì in un’altra porta di camera che proseguia in appresso, con averla rotta, piena [tale ultima camera] di soldati. E finalmente diede nel muro di essa camera, fracassandolo in parte. E quello, pure perforato, cascò nella stalla con aver offeso un cavallo nel piede.

 

Continua il fuoco delle artiglierie: quattro soldati vittime dei mortai La notte scorsa furono disparate migliara e migliara palle di scopettate nelle trinciere, con il disparo pure di molti mortari con pietre. Con aver restato morti quattro soldati ed altri feriti. E nel giorno il fuoco de’ cannoni e bombe d’una parte e l’altra fu continuo.

 

Bomba esplode nella piazzuola antistante il convento di San Domenico, affollata di soldati ed ambulanti napoletani. Ma la campana della chiesa di Maria SS. della Catena comunica per tempo - more solito - il lancio di bombe, avvertendo la popolazione e consentendo così a tutti di mettersi in salvo. Altre due bombe colpiscono, rispettivamente, la casa di Don Antonino Proto e la scalinata della suddetta chiesa della Catena Tra l’altre bombe, una diede nel piano di San Domenico, innanzi il porticato del convento, ove risideva la guardia principale del signor generale Zumjungen. Con molti soldati e quantità di napoletani che vendevano molti e diversi viveri. E[p]pure la bomba diede nel suolo, con averlo sprofondato: e crepata saltarono molti pezzi per l’aria, non avendo danneggiato ad alcuno. Poiché inteso il segno della campana della chiesa di Santa Maria la Catena, deputata a toccarsi tutte le volte che si vedea il disparo della bomba, anzi standosi con attenzione per dove andava. E da molti osservata con l’occhio e d’altri inteso il susurro e grido della bomba, in un istante tutti fuggirono dentro detto convento e nella chiesa, perloché restarono liberi. E tre cavalli d’officiali tudeschi, che si guardavano dalli loro soldati, rimasti soli nel piano, inteso il grido corsero a briglia sciolta in diverse parti come li piacque.

 

Altra entrò per una fenestra nella casa del signor Don Antonino Proto vicino al detto convento. Ed avendola rotta, fracassò un muro; ed uscita fuori crepò nell’aria. E nemeno seguì danni alcuno, con aversi ritrovato nella stanza molte persone.

Altra diede sopra la scalonata della chiesa di Santa Maria la Catena, pochi passi distante dal soldato al suono della campana deputato: disparandosi la bomba e pure rotta la scalonata, si fece in pezzi e non danneggiò ad alcuno.



 


4 maggio 1719

Viene scarcerato il Padre Lettore Pietro Martire Iaci, priore del convento di San Domenico. Dopo una lunga prigionia in isolamento nel Castello, viene trasferito nel suo convento con divieto di allontarsi 4 maggio. In questo giorno, impensatamente, fu scarcerato dal Castello - ove avea dimorato per lo spazio di mesi due e giorni dodeci, cioè da 18 febraro scorso - il Padre lettore fra Pietro Martire Iaci, Priore del Convento de’ Padri Domenicani in questa città. Nel qual giorno venne in questa dal campo spagnuolo con una barchetta, associato dal villano di Maiorana. La quale, avendoli disbarcato nel Capo per la parte di Ponente, se ne ritornò. Con tutto che avesse attestato nella deposizione essere stato condotto col Maiorana da barca di Lipari, nel passaggio facevano per quell’Isola (come il tutto si descrisse).

Il Padre sudetto uscì dalle carceri quasi stolido, per avere stato molto tempo racchiuso in una piccolissima stanza, senza communicazione di persona alcuna. Intercettatosi pure il parlare con chi li conducea il cibo quotidiano. Ma per aver saputo il signor comandante Missegla che il Padre per tutto il tempo della sua carcerazione mai s’avea raso la barba, volse che non dovesse uscire dal Castello se prima non si radeva. Anzi inviò il suo barbiero per tal effetto. Bensì fu sua fortuna che non avesse morto di spavento nel tempo nel quale di radeva, poiché il barbiero l’attestava aver inteso in casa del Missegla, comandante, che sarebbe stato inviato da nuovo nel campo spagnuolo, sopra che molto si intimorì. E nonostante la sua scarcerazione restò sequestrato in convento, concedendosi il dispotico di seguire il suo governo da Priore come prima.

 

Giungono dalla Calabria alcune tartane cariche di viveri e di numizioni. Sbarcano pure granatieri austraici del reggimento del generale Zumjungen  La notte scorsa pure approdarono nel campo - venute da Calabria - alcune tartane con quantità di provisioni di guerra e di bocca, conducendo ancora 30 soldati granatieri tudeschi del regimento del signor generale Zumjungen.

 

Durante la notte gli Spagnoli ostacolano con le artiglierie la realizzazione d’un terrapieno a Porta Messina: muoiono dieci soldati austriaci, oltre ad altri militari gravemente feriti Fu molto vehemente il fuoco de cannoni la notte nelle batterie dal campo spagnuolo e nel Purracchito, col disparo di molti e molti schioppi e mortari di bombe e di pietre nelle trinciere. Disparandosi gagliardamente alla Porta di Messina, volendosi a viva forza impedire a non complirsi il terrapieno, qual si faceva dalle truppe tudesche in detta Porta di nottetempo per non essere danneggiate dall’arme spagnuole. E con tutto ciò non si cessò il lavoro di detto terrapieno, ma restarono più di dieci soldati uccisi ed altri gravemente feriti, nelli quali un tenente tudesco.

 

5 maggio 1719

Arrivano viveri dalla Calabria. Una bomba esplode al Borgo nella casa del maestro Giuseppe Perdichizzi, già colpita in precedenza 5 maggio. In questo giorno vennero da Calabria alcune tartane e felughe cariche di vettovaglie e viveri. E con tutto ciò sempre si vendevano a carissimi prezzi.

Il fuoco de’ cannoni e delle bombe si fece a sentire d’una parte e l’altra. Una bomba diede sopra il Monte, nella casa di maestro Gioseppe Perdichizzi, nella quale avevano andato molte palle di cannoni con aversi fracassata in più parti. E data detta bomba, dell’intutto si disfece. Anzi, precipitatasi sino al suolo, per esser solerata, si dirupò l’altra casa di maestro Francesco Cambria e di maestro Pietro Maiorana, zio e nepote.

 

6 maggio 1719

Muore un soldato austriaco in trincea. Le artiglierie del bastione di S. Maria e dei fortini di S. Rocco e di S. Francesco di Paola inattive, con conseguente sollievo degli abitanti del Borgo 6 maggio. La notte scorsa seguì il disparo di molte scopettate nelle trinciere d’ambe le parti, col gettito di più bombe di pietre. Perlochè un povero soldato tudesco, qual era di guardia, restò ucciso.

Per tutto questo giorno e nella notte non cessarono li cannoni delli Spagnuoli a non farsi a sentire contro la città, col disparo di quantità di bombe. Bensì, dal bastione di Santa Maria nella Cittadella e dall’altri fortini di San Rocco e San Francesco di Paula da più giorni, come in questo, non s’avea inteso alcun tiro. Perlochè gli abitanti almeno avevano alcun consuolo, non ritrovandosi storditi col rimbombo di essi cannoni. Per essere stato insoffribile, specialmente di quei che abitavano alle falde e nel Borgo, essendo cannoni ben grossi da battere di libre sessanta l’uno.

 

7 maggio 1719

Diserzione notturna dal campo spagnolo di un soldato francese, il quale riferisce penuria di denari, ma abbondanza di viveri   La notte scorsa se ne fuggì dal campo spagnuolo e la mattina fu condotto come al solito innanzi il signor generale Zumjungen. Riferì essere francese di nazione, che nel campo sudetto non si ritrovavano denari, con esserci molt’abbondanza di viveri, come pure aver molt’officiali trasmesso nella città di Messina la maggior parte del loro bagaglio.

 

Perlustrazione austriaca dei fondali del Porto e della riviera occupata dagli Spagnoli. Movimento di militari infermi dal campo spagnolo verso Messina Pure d’ordine del signor generale Zumjungen uscì dal Capo una tartana corsara, la quale scandagliò tutto il fondo di questo Porto. Ed inoltre s’osservò tutta la riviera, qual avevano in dominio gli Spagnuoli sino al Capo di Raisicolmo.

Di più si vidde che dal campo nemico per la Marina s’avessero inviato molt’ammalati per Messina, con molte provisioni di viveri. Associato il tutto da quantità di soldati a cavallo.

 

Cessa di giorno, ma non di notte, il fuoco degli Spagnoli Ha cessato in parte il fuoco delle batterie spagnuole in questo giorno. Ma nella notte persistette alla gagliarda nelle trinciere il disparo di molti mortari con pietre, con alcune scopettate. Come da questa pure s’adoprò.

 

8 maggio 1719

Diserzione dal campo spagnolo di tre militari, tra i quali un sergente piemontese arruolatosi nelle truppe di Filippo V dopo la cattura. Riferiscono che a Trapani era giunto quasi un intero reggimento di Piemontesi, come riferito a sua volta da un gruppetto di disertori piemontesi giunti al campo spagnolo di Milazzo 8 maggio. La notte scorsa vennero dal campo spagnuolo tre soldati desertori, nelli quali vi fu un sargento piemontese, il quale innanzi era stato prigioniero e prese partito nelli Spagnuoli. E doppo se ne fuggì cogli altri due. Raccontarono che a Trapani avessero venuto molte truppe di Piemonte, quasi un regimento intiero. Dal quale se ne fuggirono quattro soldati granatieri e che si ritrovavano [i 4 granatieri, ndr] in detto campo spagnuolo.

 

Le artiglierie, quiete di giorno, si fanno sentire nella notte. Ma i civili - che in notturna assistono alle ostilità dal Borgo - si sentono più sicuri in quanto lontani dal tiro del fuoco nemico Non si fecero a sentire più le cannonate del campo spagnuolo, perloché si ritrovò in città alcuna quiete. La notte però nelle trinciere non cessarono le bombe con pietre ed il disparo di scopettate, conforme per il passato. Con aver alcun sollievo molti cittadini. Li quali, trattenendosi il giorno con quella cautela che si potea per il timore delle palle di cannoni e delle bombe, la notte si conferivano sopra il Monte per osservare il disparo delle scopettate e delli mortari di pietre: almeno avevano alcun sollievo colla veduta senza spavento di detto disparo, sembrandoli molto vago il conflitto.

 

9 maggio 1719

Altro disertore dal campo spagnolo conferma l’abbondanza di viveri e la penuria di denaro presso le truppe spagnole, in arretrato con le paghe 9 maggio. Comparì un desertore dal campo spagnuolo, soldato di nazione valenciano. Riferì in questa che gli Spagnuoli tenevano molt’abbondanza di comestibili e che gli officiali inviarono tutto il loro bagaglio nella città di Messina. Con tutto che si ritrovasse molta scarsezza di denari, tanto che non s’ha pagato per intiero la paga alle truppe. E di più che per tutto il campo nella Piana non si ritrovavano più di due mortari di bombe e cinque cannoni da battere, due in una batteria e tre in un’altra. Con alcuni volanti di campagna, per aversi tutti gli altri rimesso in Messina.

 

Bomba decapita un soldato austriaco in prossimità della chiesetta della Pietà, accanto Porta Messina Con tutto che nella città non si avesse inteso più il disparo continuo delli cannoni del campo nemico spagnuolo, nondimeno seguiva sovente vicino la Porta di Messina ed altre parti convicine. Come pure delle bombe, tanto che una di esse diede vicino la chiesa di Santa Maria della Pietà, collaterale con le mura di detta Porta, ed uccise un soldato tudesco, qual era di guardia, con averli tolto il capo, fracassandolo per tutto il corpo.

 

10 maggio 1719

Altra bomba uccide 2 soldati austriaci nell’odierna piazza Mazzini, già piano Pietà 10 maggio. Tra la quantità delle bombe disparate nelle batterie spagnuole, una uccise due soldati tudeschi nel piano della chiesa della Madre di Dio sotto titolo della Pietà, vicino le mura della città ove esiste la porta nominata di Messina.

 

Mancata cattura di un’imbarcazione spagnola scortata a riva dalla cavalleria di Filippo V e messasi in salvo nella spiaggia antistante il Mulino di S. Francesco di Paola (presso il fiume Floripotema, nell’area oggi occupata dalla Raffineria)  Ben tardi uscì una feluga dalla ripa ove risiedeva il campo spagnuolo. Qual, osservata da due felughe corsare, s’unirono queste col pinco corsaro, assaltando la sudetta feluga col disparo di molte cannonate. Bensì essa sempre si trattenne vicino la ripa sudetta, scortata dalla cavalleria spagnuola nella riviera. Alla fine, vedendosi molto alle strette, si retirò nello Scaro nominato il Molino del Convento di San Francesco di Paola, ove - non puotendo le dette due felughe col pinco prenderla per le molte truppe di cavalleria che sovragiunsero per difesa di essa - se ne ritornarono con puoco onore nel Capo, quasi scherniti per non aver azzardato a prenderla.

 

Pare che alcuni notabili palermitani si siano recati a Napoli per essere ricevuti dal vicerè, sottomettendosi alla dominazione austriaca Si publicò in città, non penetrandosi l’origine, che alcuni titolati della città di Palermo avessero andato in Napoli per discorrere con quel Vicerè, volendosi soggiacere all’arme cesaree. Se piacque a tutti gli cittadini di questa tal novità, si può reflettere dall’inchinazione s’ha tenuto sempre alla Cesarea e Cattolica Maestà. Non si penetrò bensì da dove si sparse la novella, asserendosi da molti non esser veridica la relazione. Poiché se detti personaggi volevano passare in Napoli, senza dubio s’avrebbero conferito in questa per aver più libero e franco il passaggio, scortati dal comboglio inglese.

 

A causa della perdita di alcuni cavalli, uccisi al Capo da armi da fuoco, gli amministratori comunali (giurati) inibiscono con proprio bando ai civili, ma non ai militari, la caccia al Promontorio Si promulgò pubblico bando dalli giurati di questa - d’ordine del signor generale Zumjungen, comandante - che in avvenire non si puotesse più andar a caccia di quaglie nel Capo, sotto la pena di perder l’arme ed altre benviste. Avendo seguito tal proibizione col pretesto che, avendosi disparato dalli cittadini, avessero restato alcuni cavalli che si ritrovavano in detto Capo - [cavalli di pertinenza] d’alcuni officiali - uccisi. In ogni modo si cercava togliersi qualunque divertimento agli poveri cittadini. Poiché colla caccia cercavano sollevarsi dalle gravi cure ed afflizioni d’animo, nelle quali da più tempo si ritrovavano ripieni. Il peggio fu che per li cittadini persistette sempre la proibizione, restando liberi gli officiali e soldati - così tudeschi come di Savoia e di Piemonte - di poter liberamente esercitar la caccia.

 

Il fuoco delle artiglierie persiste solo nelle trincee ed in prossimità delle porte, risparmiando la parte alta della città Il fuoco di cannoni e delle bombe persistea solamente nelle trinciere e nelle mura della città vicino le porte, non osservandosi disparare più nella parte superiore. Perlochè gli abitatori stavano con alcun sollievo e quiete. La notte poi si disparavano in quantità molte e molte scopettate in dette trinciere con li mortari con pietre, d’ambe due le parti.

 

11 maggio 1719

Trasferiti nella cittadella fortificata le tavole ed altri legnami del forte Ferrandina 11 maggio. Tutte le tavole e legnami del forte di Ferrandina nel Purracchito - fatto dalle nostre truppe per offendere il campo spagnuolo, servendo per trinciera e terrapieno sino al convento di San Papino - furono tolte, conducendosi dalli soldati nella Cittadella. Non si puotè penetrare la cagione.

 

Diserzione notturna dal campo spagnolo di un soldato austriaco, ferito ad una gamba durante la fuga. Giunte da Napoli e dalla Calabria oltre 40 tra tartane e feluche cariche di viveri per conto di privati All’alba venne dal campo spagnuolo in città un soldato tudesco, qual se ne fuggì nella notte scorsa. E benchè nel fuggire fosse stato discoperto, col disparo di molte scopettate nelle trinciere, solamente restò ferito in una gamba legiermente.

Nella medema notte passata approdarono - venute da Napoli e Calabria - in questo Capo più di quaranta tartane e felughe, cariche di diversi viveri per conto di particolari. Non perciò si venne a diminuire il prezzo, comprandosi peggio di prima, col valore molto esorbitante. Ed il peggio era che ogni cosa si vendea a folla, volendosi ogn’uno provedere sino al Capo. Anzi, vedendo gli venditori le ciurme e delli paesani e delli soldati, che concorrevano alla compra, alteravano gli prezzi a loro gusto.

 

Partenza per Palermo del viceré spagnolo marchese di Lede Si publicò che il signor marchese Lede, vicerè spagnuolo, avesse passato in Palermo per far parziali [proseliti, ndr] alla devozione del suo Monarca in qualunque evento, conforme antecedentemente s’avea accordato colli Messinesi. Li quali aveano promesso correre la medema fortuna delli Spagnuoli, colla presa dell’arme in tutte l’occorenze a pro del Re di Spagna. Anzi, seguendo guerra nella loro città, s’avrebbero coll’arme unito cogli Spagnuoli.

 

Le artiglierie spagnole risparmiano il Borgo Continuavano gli Spagnuoli a non tirar più cannonate, né disparar bombe nella città. Solo si gettavano le pietre col disparo di molte migliara di schioppi nelle trinciere. Ed alcuni cannoni e bombe si disparavano tanto in dette trinciere, come alle porte della città e luoghi ad esse convicine. Onde nella città si stava dall’abitatori con alcuna quiete, non vedendosi più palle di cannoni, né bombe, nella parte superiore di essa città.

 

Viene catturata a Messina una nave francese partita da Marsiglia e carica di mercanzie, per ciascuna delle quali il Barca indica il porto d’imbarco sulla base delle testimonianze dell’equipaggio raccolte a Milazzo  Fu osservata sopra questo Capo una nave francese nominata il Buon Giuseppe, patronizzata dal P[adro]n Giovanni Boner della medema nazione (come doppo si verificò). La quale avea uscito dal Capo di Raisiculmo. Onde fu arrestata da due tartane corsare e [da] due galeotte, venendo all’obedienza. Era carica di quattro balle di seta ed una di fazzoletti e calsette, pure di seta; alcun’altre di pelli di capretto e con un ricco fondo di zecchine e genovene [due tipi di monete, ndr]. Si pretese dal signor generale Zumjungen, tudesco comandante, esser la mercadanzia in pena, con aversi rimesso la causa in giudizio innanzi il signor dottore Don Guglielmo Colonna, di questa città, come Consultore. Dal quale furono molti marinari presi per testimonij ed il padrone subito. L’attestazione di tutti - concordi - fu aversi partito da Marsiglia col carico di vino, nel mese d’ottobre scorso, per venderlo in Corfù. Per il maltempo approdarono a Porto Magone [Maó nelle Baleari, ndr], ove pure si fece compra di baccalao e sarache, ed andarono in Napoli, con aver ancora comprato vino. E, venendo nel Faro di Messina, fu la nave arrestata e condotta in città, ove furono costretti vender la mercanzia parte alle galere e vasselli di Spagna e parte a molti particolari. E, pretendendo passar in Termini per far compra di frumenti e condurli in Genova, retornarono per il detto Faro per conferirsi in Termini; e nel viaggio seguì la presa.

 

12 maggio 1719

Un disertore piemontese fugge dal campo spagnolo e raggiunge a nuoto, nel mar di Levante, il forte di S. Elmo 12 maggio. Ad ora di Vespro venne un desertore spagnuolo da quel campo, con aversene fuggito a nuoto per il mar d’innanzi. Avendo preso terreno sotto il bastione di Sant’Elmo. Avendo n[u]otato il corso di miglia due, venne molto affannato e quasi semivivo, credendo di restar sommerso nell’onde. Affermò esser piemontese e non riferì cosa alcuna di considerazione.

In città si persistea con qualche quiete, stante che gli Spagnuoli non proseguivano il disparo delli loro cannoni e bombe. Bensì d’una parte e l’altra si disparavano alcuni mortari con pietre, con molta quantità di schioppi, nelle trinciere e vicino le porte e mura della città per tutta la notte.

 

13 maggio 1719

Trasferimento del Castello dai Piemontesi agli Austriaci 13 maggio. In questo giorno si fece dalli Piemontesi e Savoiardi la consegna del Regio Castello alli Tudeschi, per conto della Cesarea e Catolica Maestà dell’Imperadore. Con tutte le provisioni di guerra, restando col presidio delle truppe tudesche. Retirandosi gli altri nella Cittadella. E benché non avesse entrato in detto Castello alcun comandante tudesco, persistendo in esso quello che pria dominava per Savoia: nondimeno a momenti dovea entrar l’altro, qual si ritrovava nella città. E quello che si pratticava seguì per mera convenienza. E si stavano aspettando molte truppe tudesche da Napoli e Calabria col comboglio, affinché col medemo si trasportassero tutte le truppe ed officiali piemontesi e savoiardi nella città di Siragosa.

In detto giorno non s’ha inteso alcun disparo di cannoni, né di bombe nella città dalli forti delli Spagnuoli. Bensì nelle trinciere e nelle porte di questa città e luoghi convicini, specialmente la notte, s’intese e vidde quantità di fuoco di scopettate, col gettito di molte pietre d’una parte e l’altra.

 

14 maggio 1719

Altri due disertori 14 maggio. Due soldati tudeschi su l’alba vennero in città, avendo intrapreso la fuga la notte precedente. Nel fuggire li furono disparate molte scopettate, bensì restarono illesi. Non riferirono cosa di considerazione alcuna, oltre che per non intendersi il loro lenguaggio dalli cittadini. Nemeno si puotè penetrare alcun motivo sopra gl’andamenti delli Spagnuoli.

Il fuoco delli cannoni e bombe non seguì in città. Solo nelle trinciere, d’una parte e l’altra, s’intendea il disparo d’alcuni mortari con pietre e di molte scopettate.

 

15 maggio 1719

Con la partenza dei Piemontesi il Duomo antico, adibito ad ospedale di quelle truppe, torna ad ospitare le funzioni religiose, previa opportuna igienizzazione. L’ospedale fu temporaneamente trasferito nella Badia benedettina, sino ad allora impiegata come deposito viveri 15 maggio. Con molt’allegrezza quasi universale di tutti li cittadini ed abitanti in città s’allestì dalli Piemontesi e Savoiardi la Matrice chiesa, non tenendosi più ospedale. Avendosi bensì trasferito dentro il Monasterio di Donne del Santissimo Salvadore, nella Cittadella, da più mesi rimasto per riposto di vettovaglie e farine di detti Savoiardi. Discacciate pria le monache, come si descrisse. Solo rimasero in detta Matrice alcuni officiali in quelle stanze che si ritrovavano. E si stava purificando dalle molte immondizie che in essa si ritrovavano, ad effetto di puotersi abitare colla somministrazione delli divini Sacramenti. Poiché il fetore era molto pernicioso e nocivo.

 

La chiesa di S. Maria Maggiore adibita inaspettatamente a deposito di orzi provenienti dalla Calabria Vennero da Reggio la notte scorsa molte tartane e felughe cariche di viveri, con aver approdato nel Capo.

In questo giorno, fuor d’ogni aspettazione, s’intese una speciale afflizione da tutti l’abitatori in città, per aversi ordinato che nella venerabile chiesa di Giesù e Maria la Vecchia si levasse il Santissimo Sacramento dell’altare, con doversi pure togliere tutti gli ornamenti e superlettili sacrati di essa chiesa, per dover servire per riposto di molt’orgi che vennero da Calabria. Come infatti fu necessario il tutto eseguirsi per non soggiacere a violenze maggiori. E si vidde che la stanza d’un Dio Sacramentato, in una sua chiesa parochiale, pure fu profanata col riposto d’orgi. Con aversi asserito esser necessario ciò farsi, non puotendosi altrimente adoprare, concorrendo l’urgenza della guerra.

 

Cannonate spagnole tentano di arrecare disturbo ai facchini intenti ad immagazzinare gli orzi entro la chiesa di S. Maria Maggiore Nella condotta [nell’immagazzinamento, ndr] dell’orgio nella venerabile chiesa di Giesù e Maria la Vecchia da molti bastasi [facchini, ndr], furono questi - per esser in quantità - discoperti dalli Spagnuoli. Perloché dalli loro fortini si dispararono alcune cannonate nella Marina per dove si dovea portare l’orgio, essendo situata la chiesa sudetta in detta Marina, solo per offendere gli detti bastasi. Ma non seguì in loro alcun danno. E tolte dette palle, non si fece a sentire in città altro fuoco, bensì questo fu continuo nelle trinciere - d’ambe le parti - e loro fortini, specialmente la notte. Disparandosi alcuni mortari con pietre e molte scopettate, onde restarono uccisi due soldati tudeschi, tutti due feriti con palle di schioppi. Ed altri feriti.

Pure approdarono nel Capo molte tartane e felughe, cariche d’ogni sorte di vettovaglie, specialmente di farine per servizio delle truppe tudesche, con altre provisioni di guerra.

 

16 maggio 1719

Alcuni milazzesi tornano nel centro cittadino, fuggendo dalla porzione di territorio comunale caduto sotto il dominio spagnolo, dove si trovavano da ottobre per le vendemmie. Sbarcano al Capo, tra gli scogli della Baia di S. Antonio. Nel fornire informazioni sul campo spagnolo, raccontano di arretrati nelle paghe dei militari, ma soprattutto di movimenti di truppe verso Siracusa e Messina 16 maggio. Non si fece a sentire in città alcun tiro di cannone dal campo spagnuolo. Nemeno si disparò bomba alcuna. Solo nella notte s’esercitava fuoco di molte scopettate, disparandosi alcuni mortari con pietre, tanto nelle trinciere di tutte due parti, come nelli fortini vicini le porte della città.

La notte scorsa si partirono per il mare di dietro verso Ponente, sopra una barchetta dal campo spagnuolo, alcuni paesani plebei e maestri di questa città, quali si nomavano Sebastiano Falcone, Domenico Castelli, maestro Emiliano Puglisi, Alessio Bertè, Giuseppe Perdichizzi, maestro Giovanni Scarfagna, Paolo Calascione, Domenico Vitali. Li quali molto pericolarono la vita. Poiché - nell’imbarcarsi nella ripa - si ritrovava da vicino una barca di guardia, onde furono costretti per disingannare alle sentinelle drizzar la prora verso Patti, prendendo il camino molto largo e nel golfo. E per non esser discoperti. E, doppo, conoscendo esser molte miglia lontani dalla ripa e non esser seguiti, s’industriarono per il Capo di questa. E con molto travaglio e spavento approdarono, prendendo terreno sotto la chiesa di Sant’Antonio di Padua, in mezzo li scogli. E sull’alba vennero a presentarsi innanzi il generale Zumjungen, comandante tudesco, dal quale furono largamente interrogati. E dalli medemi si rispose che dal principio dell’imbrocco delli Spagnuoli, con l’occasione delle vendemie, si ritrovavano - dal mese d’ottobre scorso - per travagliare nella Piana.  E privata la comunicazione nella città furono sequestrati, non puotendo più retornare. E bramosi di condursi nella Patria, più volte tentarono la fuga, la quale mai li potè sortire. Solo che nella notte antecedente, del modo raccontato. Riferirono, di più, che molti regimenti così di fanteria, come di cavalleria, s’aveano partito per il fiume di Rozzolino [torrente Patrì, ndr], dovendosi conferire nella città di Siragosa. Ed altre truppe, per la riviera, conducendosi in Messina. Inoltre, che nel campo non si ritrovavano più mortari di bombe. Solamente alcuni puochi cannoni. Di più, che molto si lamentavano e gli officiali e gli soldati per la grande scarsezza di denari, dovendo conseguire gli primi molte paghe e gli altri non soddisfatti per intiero, ma solo col semplice soccorso. Che nel campo di continuo si vedevano molti latrocinij delli soldati verso gli paesani, particolarmente nella notte. E se si resistea a non lasciarsi rubbare, si pericolava la vita. Perloché restarono uccisi molti soldati e paesani in tempo di notte.

 

17 maggio 1719

Disertori perlopiù catalani giungono dal campo spagnolo: riferiscono lamentele per le paghe arretrate 17 maggio. In questo giorno vennero dal campo spagnuolo in più volte molti soldati, con aversene fuggito in questa città. Uno delli quali la notte scorsa avea valicato il mare d’innanzi, con aversene venuto a nuoto. La maggior parte delli desertori erano catalani. Tutti riferirono che nel campo sudetto si campava miseramente per esservi molta scarsezza di denari. Perloché molto in generale si murmorava contro gli comandanti ed officiali.

Havea triegua il disparo del cannone e delle bombe delli fortini delli Spagnuoli come li giorni scorsi. Perloché l’afflitti cittadini si consolavano tra di loro per aver alcuno spazio di tranquillità col camino per la città, almeno per la parte superiore, senz’alcuno spavento.

 

18 maggio 1719

Arriva da Napoli un tenente colonnello austriaco per una notifica al generale Zumjungen 18 maggio. Venne la notte scorsa da Napoli un tenente coronello tudesco, inviato da quel viceré con un dispaccio al signor generale Zumjungen, comandante tudesco, sopra una feluga ben corredata di marinari ed armata con molti soldati. Ed in detto giorno fu dispacciato, con aversene retornato colla medema feluga velocemente in Napoli.

Le bombe e cannoni non si dispararono. La notte, bensì, fu così continuo e fervente il fuoco delli schioppi disparati nelle trinciere che si numerarono alla confusa più e più migliara di tiri d’una parte e l’altra. Come pure si dispararono alcuni mortari di pietre contro gli fortini della città, vicino le mura e porte di Messina e Palermo.

 

Giunge notizia dell’imminente arrivo del generale Claudio Florimondo d’Argenteau conte di Mercy (1666-1734) Si dicea pubblicamente che l’armata navale per condursi da Napoli in questo Regno era approntata con tutte le truppe, con dover venire per generale comandante il signor Mercij, tudesco, quale havea trattenuto la partenza, volendo quattro milioni di fiorini per servizio di dett’armata.

 

19 maggio 1719

Ennesimo disertore, questa volta un sergente piemontese. Giungono dalla Calabria imbarcazioni cariche di 800 cavalli, sbarcati al Capo: trattasi dei Dragoni Tige al comando del colonnello Johann Franz Bodwin conte di Walderode (1669-1738)  19 maggio. Comparì un desertore dal campo spagnuolo, il quale era sargento piemontese.

Il giorno scorso nel golfo comparirono alcune tartane ben grosse. Si discorrea esser imbarcazioni dell’armata che si stav’aspettando.

In questo [giorno] approdarono nel Capo dicidotto tartane con altre di trasporto venute da Sant’Eufemia, conducendo da 800 cavalli, li quali furono disbarcati nel medemo giorno. E la sera istessa e nella notte sequente di nuovo fecero la partenza tutte sudette tartane.

Non s’intese fuoco di cannoni né disparo di bombe in città dalla parte nemica. Solo la notte si dispararono alcuni mortari con pietre nelle trinciere e molte scopettate d’una parte e l’altra.
 
 
 
Un dragone di Lusitania riprodotto in scala 1:72 dai modellisti Salvatore Barresi e Giuseppe Pandolfo per un’ipotesi di ricostruzione in miniatura dell’Assedio di Milazzo. Il tipico colore giallo dell’uniforme dei dragoni spagnoli, creando confusione, fu una delle cause che determinarono la sconfitta delle truppe austro-piemontesi nella Battaglia di Milazzo del 15 ottobre 1718. A darne notizia è in primo luogo la Biblioteca Storia e Letteraria di Sicilia di Gioacchino Di Marzo, dove nel vol. XV viene riprodotto un antico manoscritto che, a proposito della citata battaglia, a pag. 215 così riferisce: «accorsa la cavalleria irlandese, chiamata il reggimento della Morte, fece un gran smacco sopra i Tedeschi. Poiché al vestire furono giudicati soldati cesarei del reggimento di Tisci e perciò non se ne guardavano». La notizia appena riportata è solo parzialmente corretta. Non si trattava di cavalleria irlandese, quanto piuttosto dei Dragoni di Lusitania, già allora contraddistinti con la simbologia della morte (teschio e tibie incrociate). Furono proprio i Dragones de la Muerte a contrapporsi ai dragoni imperiali del reggimento Tige (Tisci). A confermarlo è la relazione che il conte Carafa inviò a Vienna il giorno successivo alla battaglia. Il 16 ottobre 1718 il conte riferiva infatti che sia i dragoni spagnoli quanto quelli austriaci indossavano uniformi gialle, circostanza che confuse i suoi, i quali furono così sorpresi dal nemico: «Es lässt sich kein anderer Grund dufür annehmen, als, da die spanischen Dragoner gleich den kaiserlichen Dragonern gelb gekleidet waren und die Infanterie dieselbe Uniform wie die Piemontesen hatte, die Kaiserlichen nicht haben schiessen wollen und daher überrascht wurden» (cfr. Caraffa’s Relation, fondo “Neapel ud Sicilien 1718”, fasc. X, 16 c in Kriegsarchivs Vienna. Il documento in questione è riportato anche da Raimund Gerba, Die kämpfe der Kaiserlichen in Sicilien und Corsica, Verlag des K. und K. Generalstabes., Wien 1891, pp. 114-115). Ad avere divise simili, secondo la relazione Carafa, anche qualche reparto di fanteria imperiale che si confondeva coi Piemontesi.


20 maggio 1719

Altro disertore informa che dal campo spagnolo partirono truppe dirette a Siracusa 20 maggio. Se ne fuggì in città un desertore dal campo spagnuolo, dell’istessa nazione. Non riferì cosa di rilievo: solo che partirono molte truppe tanto per Messina, per la riviera, come per le montagne, per condursi in Siragosa. Con aversi pure fatto la rimessa dagli officiali del meglior bagaglio in detta città di Messina.

 

Atroce esecuzione d’un soldato austriaco, accusato d’aver ucciso un commilitone tra S. Papino e la Grotta di Polifemo Fu condotto al patibolo in questo giorno un povero soldato tudesco condennato alla morte per avere ferito altro soldato della medema nazione con una guainietta nel petto, proditoriamente con tre colpi. Il quale, fra lo spazio di puoch’ore, passò all’altra vita. Sieguì la tragedia sotto il Monte, fuori la città.

Si conducea il delinquente dalle carceri, associato da quantità di soldati, coll’assistenza del padre cappellano del suo regimento, raccordandolo [pacificandolo, riconciliandolo, ndr] per muorir contrito. Ed essendo gionto al luogo deputato - doppo le proteste dal medemo fatte e raccordi salutiferi del padre cappellano per salute dell’anima sua -  se li bendarono gli occhi. E proseguendosi le preci, altro soldato, qual servia da carnefice, desnudata una scimitarra, tentò troncarli il capo. Ma - o per la sprattichezza del manigoldo o per disgrazia del poveretto soldato - fu necessario che si replicasse il colpo per quattro volte, sino che s’abbia separato dal collo la testa.

 

Si celebra dalle truppe austriache, nella chiesa del Rosario, il Beato Giovanni Nepomuceno da Praga Dalli cappellani tudeschi, li quali si retrovavano in questa città con li regimenti, da più giorni s’ha preteso celebrare la festività del Beato Giovanni Nepunoceno, canonico della città di Praga e confessore della felice memoria dell’Imperatrice Maria. Ed infatti in questo giorno si celebrò il Vespro d’uno di essi cappellani, assistendo gli altri nella chiesa de’ Padri Domenicani, avendosi apparamentata tutta la chiesa con molto lume di torceria ed a suono di pifari, tamburri e tabbani. Anzi, alternativamente con un coro di boeri ed altri strumenti musicali, viole, violini ed organo, toccati tutti da tudeschi. Concorrendo quasi tutti li signori comandanti, generali ed officiali, nelli quali pure intervenne il signor generale Zumjungen, con tutto che fosse stato eretico.

Inoltre, si fecero a vedere nella sollennità tutte le dame tudesche, oltre la moltitudine di molti e molti soldati della medema nazione, non essendo stato capace il tempio a tante persone. Tanto che molti restarono esclusi, trattenendosi nel chiostro o fuori dalla chiesa. E finì il Vespro col disparo d’una quantità di mortaretti di bronzo.

Non s’intese meno in questo giorno alcun rimbombo di cannone, né disparo di bombe nella città, conforme gli giorni scorsi. Solo la notte seguiano le scopettate e le pietre nelle trinciere.

 

21 maggio 1719

Proseguono le celebrazioni nella chiesa del Rosario per il Beato Nepomuceno da Praga, con prediche in lingua italiana e tedesca  21 maggio. Si cantò la messa sollenne nella chiesa sudetta di San Domenico per la festività del riferito Beato Giovanni d’un Padre cappellano del medemo ordine, pure tudesco. Con aver fatto il panegirico in lingua tudesca altro padre cappellano della Compagnia di Giesù. E la sera si cantò il secondo Vespro con l’istessi strumenti musicali e suono di pifari e tamburri; e disparo di mortaretti col medemo concorso. Anzi, si fece altra predica recitata in lingua italiana d’altro padre cappellano, pure domenicano, del regimento di Salluzio di Piemonte.

 

La presenza del generale Zumjungen nelle trincee sino a mezzanotte fa temere il peggio La sera andarono nelle trinciere dupplicate le guardie. Perloché per tutta la notte si stiede in città con alcun sospetto che non seguisse alcun rumore. Tanto più per aversi osservato che il signor generale Zumjungen, comandante, con molti altri generali ed officiali si fecero a vedere nelle trinciere, ove si trattennero sino a mezzanotte. Ma per grazia di Dio non s’intese cosa di nuovo.

 

Giungono al Capo da Sant’Eufemia quattro tartane cariche di cavalli e truppe austriache Spuntarono nel golfo quattro tartane e la sera approdarono tutte quattro, a due a due, nel Capo. Venute da Sant’Eufemia cariche di soldati tudeschi con alcuni cavalli, li quali - nella medema sera - si principiarono a disbarcare.

 

Si constatano alcuni danni nel Duomo antico, dopo la restituzione da parte delle truppe piemontesi che l’avevano adibito ad ospedale. In particolare, la cucina da loro allestita sotto la nuova Sacrestia del 1704 rischiò di incendiare i pregevoli arredi lignei di quest’ultima. Danneggiati dai fornelli anche alcuni blocchi scolpiti di pietra da taglio, depositati accanto al Duomo per abbellirne un angolo in muratura  Se più tardava a restituirsi il Duomo dalli Piemontesi e Savoiardi, nel quale per più tempo si tenne il loro ospidale, per certo avrebbe seguito un notabilissimo danno. Poiché, volendosi tutto purificare dall’immondizie che in esso si retrovavano, s’osservò che sotto la Sagrestia, nuovamente costrutta con maestria molto celebre, ove esistevano molti damusi [volte a botte, ndr], in quelli dalli detti Savoiardi e Piemontesi di continuo si facea la cocina. E per esser il fuoco molto spesso ed in quantità, giornalmente servendosi per gli officiali o per il magnare di molti centinara d’infermi, come pure per esser li damusi bassi, il fuoco avea principiato ad abbruggiare alcuni travi che sostenevano detta Sagrestia. Tanto che, s’avrebbe persistito per altri puochi giorni il fuoco, senz’alcun dubio s’avrebbe incendiato tutto il solaro, con accendersi pure tutta la Sagrestia tutta lavorata di legname. Inoltre, ritrovandosi vicino detta Matrice una quantità di pietre lavorate d’intaglio per farsi una cantonera di essa, furono tutte da detti Savoiardi e Piemontesi abbruggiate per aversene servito per accommodar fornelli di fuoco in più parti, così di dentro, come di fori di detta Matrice.

 

Un tenente colonnello di uno dei reggimenti Starhemberg prende in consegna il Castello dai Piemontesi In questo giorno prese la possessione del Regio Castello, a nome della Cesarea e Catolica Maestà, un tenente coronello tudesco del regimento di Starimbergh.

 

22 maggio 1719

Cinque soldati austriaci uccisi nelle trincee 22 maggio. La notte fu eccessivo e continuo il fuoco delle scopettate, col disparo di bombe con pietre nelle trinciere. Perloché restarono uccisi cinque soldati tudeschi con molt’altri feriti con palle e pietre.

 

23 maggio 1719

Diserzione di due militari del reggimento Saluzzo: fuggono dal campo spagnolo ove erano stati condotti una volta catturati dal nemico, al servizio del quale si erano nel frattempo arruolati 23 maggio. Vennero due desertori dal campo spagnuolo, con esser uno di Nizza. Tutti due del regimento di Salluzio. Avendo restati prigioni, presero partito nelli Spagnuoli. E la notte scorsa, avuta l’occasione, se ne fuggirono in questa città. Non raccontarono cos’alcuna di novità.

 

Altri due morti nelle trincee Il fuoco nelle trinciere di scopettate, con alcune pietre disparate, fu continuo. Restarono uccisi due soldati, con altri feriti.

 

Tragica morte nel sonno d’un soldato del reggimento Saluzzo, precipitato dalle mura della cittadella fortificata La notte scorsa un soldato di Piemonte del regimento di Salluzio, maestro scarparo, ritrovandosi nel solito suo quartiero nella Cittadella molto affannato, non puotendo serrar gli occhi per dormire per la gran quantità di polci, se ne uscì da detto quartiero e si pose a dormire sopra le mura di detta Cittadella. E nel sonno si precipitò da dette mura, restando morto tutto rotto nel corpo.

 

I militari del reggimento Saluzzo, sino ad allora di servizio nelle trincee, non fanno più le guardie, in conformità all’atto di subentro delle truppe austriache nel Regno di Sicilia Il fuoco nelle trinciere è al solito. In questa sera andarono nelle trinciere tre battaglioni del regimento di Saluzio focilieri, in tutto facendo un battaglione al numero di seicento, che si ritrovavano in questa città, tolti gli infermi che erano al numero di duecento. Non facendo più guardie, per aver renunciato tutti li posti agli Tudeschi colle provisioni di guerra e viveri, come si raccontò.

 

24 maggio 1719

24 maggio. Comparse in città in questo giorno un desertore dal campo spagnuolo di nazione francese.